La trasformazione della vigilanza bancaria in Italia: dalle crisi finanziarie a Basilea III (Diritto degli intermediari finanziari)
- Nicola Dell’Erba
- 7 giorni fa
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Negli ultimi vent’anni, il sistema bancario italiano ha dovuto affrontare una serie di crisi che ne hanno messo a dura prova la tenuta e la credibilità: dalla bolla delle dot-com all’inizio degli anni 2000, al crac di Enron, fino ai casi emblematici di Cirio e Parmalat. A questi eventi si è aggiunta la più grave crisi globale degli ultimi decenni, la Grande Recessione del 2008. In parallelo, l’Italia ha dovuto allineare la propria normativa agli standard europei, in particolare al pacchetto CRD/CRR, che recepisce gli Accordi di Basilea.
Questi cambiamenti hanno profondamente trasformato la filosofia della vigilanza bancaria, spostandola da un approccio “strutturale” a uno più prudenziale, basato su regole rigorose, analisi dei rischi e interventi mirati sulle singole banche.
Dalla vigilanza strutturale a quella prudenziale
In passato, la vigilanza era focalizzata sulla struttura del mercato: si regolavano le condizioni di accesso al settore, si monitoravano fusioni e acquisizioni, e si interveniva per garantire concorrenza e stabilità. L’obiettivo era prevenire l’instabilità “a monte”, con barriere normative e controlli sulla governance per limitare i conflitti di interesse.
Con l’Accordo di Basilea del 1988 (Basilea I), si è introdotto un nuovo paradigma: la vigilanza prudenziale, focalizzata sulla solidità patrimoniale delle singole banche e sulla loro capacità di gestire i rischi. Nasce così il concetto di coefficiente di solvibilità, calcolato come rapporto tra il capitale di base (Tier 1) e le attività ponderate per il rischio (RWA). Le attività bancarie venivano classificate per rischiosità: ad esempio, i titoli di Stato italiani erano considerati a rischio zero, mentre i prestiti venivano ponderati in base al loro profilo di rischio.
Basilea II: un sistema più raffinato ma non immune alle crisi
L’evoluzione è proseguita con Basilea II, pubblicato tra il 2004 e il 2006, che ha introdotto un sistema basato su tre pilastri:
Requisiti patrimoniali minimi, con capital ratio all’8% delle attività ponderate, ma calcolati secondo modelli di rischio più sofisticati.
Controllo prudenziale, che permette alle autorità di vigilanza di valutare l’adeguatezza patrimoniale anche tramite modelli interni (IRB), previa autorizzazione.
Disciplina di mercato, imponendo obblighi di trasparenza informativa verso autorità, investitori e pubblico.
Questo nuovo approccio, più flessibile e realistico, ha però mostrato i suoi limiti con la crisi del 2007–2009. La complessità dei prodotti finanziari e l’interconnessione globale dei mercati hanno messo in luce la necessità di strumenti ancora più robusti.
Basilea III: solidità, liquidità e prevenzione dei rischi sistemici
Per rispondere alla fragilità emersa nella crisi, è stato introdotto Basilea III, recepito nell’UE con il pacchetto CRD IV/CRR a partire dal 2013. Le novità principali includono:
Leverage ratio: un indicatore che misura il rapporto tra Tier 1 e il totale delle attività non ponderate, per contenere l’eccessiva espansione dei bilanci.
Buffer patrimoniali obbligatori:
Capital conservation buffer: riserva aggiuntiva per affrontare le perdite.
Counter-cyclical buffer: modulato in base al ciclo economico per rafforzare la resilienza nelle fasi espansive.
Requisiti più stringenti per le banche sistemiche globali (G-SIB), con un incremento del Common Equity Tier 1 fino al 3,5%.
Nuovi indicatori di liquidità:
Liquidity Coverage Ratio (LCR): garantisce riserve liquide per coprire deflussi a breve termine.
Net Stable Funding Ratio (NSFR): assicura coerenza tra finanziamenti e impieghi a medio-lungo termine.
Controlli sulla remunerazione del top management, con limiti ai bonus e clausole di “claw-back” per scoraggiare comportamenti opportunistici.
Il nuovo modello di vigilanza in Italia
Oggi la vigilanza bancaria in Italia si articola su tre livelli integrati:
Vigilanza regolamentare: recepisce le norme europee e le traduce nel contesto nazionale.
Vigilanza informativa: si basa sulla raccolta costante di dati finanziari, indicatori di rischio e risultati dei test di stress.
Vigilanza ispettiva: prevede verifiche dirette presso le banche per controllare la qualità della governance, l’efficacia del risk management e il rispetto delle normative.
Questo modello consente di individuare tempestivamente segnali di vulnerabilità patrimoniale, di liquidità o di governance, permettendo interventi proporzionati e rapidi.
Conclusioni:
L’evoluzione dalla vigilanza strutturale a quella prudenziale ha reso il sistema bancario italiano più resiliente, trasparente e sensibile al rischio. Garantire la stabilità del sistema finanziario significa oggi mantenere alta l’attenzione su ogni singola banca, ma con una visione d’insieme: solo così si può preservare la fiducia di risparmiatori e investitori, anche nei momenti più incerti.
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