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STRETTO DI HORMUZ: UN NUOVO CIGNO NERO?

Aggiornamento: 18 giu

 

Introduzione

 

lo stretto di Hormuz è un piccolo lembo di mare che separa le coste persiane dell’attuale Iran a quelle della penisola arabica dove i principali paesi sono l’Oman, gli Emirati Arabi, Qatar, Bahrein e Kuwait. Da questo stretto passaggio, di appena 33 kg nel punto più stretto e lungo 161 kg, passa ben il 30 % commercio marittimo di petrolio globale e il 20% del commercio di GNL (gas naturale liquefatto) globale. Questi dati fanno di lui una delle più importanti crocevia mercantili al Mondo, soprattutto per quanto riguarda l'export di materie prime energetiche, e un suo eventuale blocco potrebbe comportare gravissime ripercussioni economico-politiche a livello internazionale.

Lo Stretto di Hormuz

 

Perché se ne parla?

 

La recente escalation tra Israele-Iran, la più violenta e decisa degli ultimi anni, sta comportando una fortissima instabilità nella zona del Medioriente e una forte attenzione sulle sorti dello stretto a livello internazionale. Tale attenzione è soprattutto dovuta alle dichiarazioni dell’Iran che da diversi decenni minaccia, senza mai di fatto compiere tali provocazioni, di bloccare militarmente lo stretto.

 

Importanza economica

 

Lo Stretto di Hormuz è un collo di bottiglia insostituibile per il mercato energetico mondiale. In media 17-20 milioni di barili di petrolio al giorno vi transitano, pari a circa il 30% del petrolio movimentato via mare (o approssimativamente il 20% della produzione/consumo globale di liquidi petroliferi). Quasi tutti i maggiori esportatori del Golfo Persico – Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti (EAU), Kuwait, Iraq, Qatar e lo stesso Iran – convogliano la propria produzione attraverso Hormuz. In particolare, membri OPEC come Arabia Saudita e Iraq esportano la maggior parte del greggio via Hormuz, così come fanno Kuwait e Iran, rendendo il loro accesso ai mercati internazionali altamente dipendente da questa rotta. Il Qatar, primo esportatore mondiale di GNL, spedisce attraverso questo stretto praticamente tutto il suo gas liquefatto. Diversamente dal petrolio, per il GNL del Golfo non esistono rotte alternative terrestri: se Hormuz venisse chiuso, il 100% di quel gas resterebbe bloccato, poiché Qatar e altri produttori non dispongono di gasdotti verso l’esterno comparabili in capacità.

 

Rotte alternative 

 

Data la dipendenza quasi totale dalla via marittima, le opzioni di bypass di Hormuz sono molto limitate. Solo Arabia Saudita ed EAU dispongono di oleodotti che permettono di aggirare lo Stretto: Riyadh può pompare greggio fino al Mar Rosso (oleodotto Est-Ovest verso Yanbu), mentre Abu Dhabi ha un oleodotto fino al porto di Fujairah, sull’Oceano Indiano. Tuttavia, la capacità cumulativa di queste vie terrestri è insufficiente a compensare i flussi di Hormuz.

 

Destinatari delle importazioni

 

Le esportazioni di petrolio greggio sono principalmente destinate all'Asia (circa il 70% del volume totale passante per lo stretto) in primis con la Cina, gigante fortemente energivoro, che proprio con l'Iran ha una forte relazione mercantile acquistando "circa 1,5 milioni di barili al giorno".

Le esportazioni di GNL ha come destinatario principale l'Europa, la quale con difficoltà a cercato di disaccoppiarsi dal gas Russo scegliendo come valida alternativa proprio il GNL prodotto dal Qatar.

 

Cosa potrebbe fare l'Iran ?

 

Se l'Iran venisse messo alle strette, subendo di fatto gravi attacchi specialmente alle infrastrutture energetiche, alle raffinerie di gas e petrolio e quindi alle sue principali esportazioni e fonti di finanziamento, potrebbe decidere effettivamente di bloccare lo stretto.

La profondità e la navigabilità dello stesso per le gigantesche navi cargo è abbastanza limitata infatti le rotte di navigazione in entrambe le direzioni sono larghe solo 3 km.  La sua ridotta profondità rende le navi potenzialmente vulnerabili a un blocco militare portato avanti dall’Iran. Questo tramite mine, potenziali attacchi missilistici da terra, intercettazioni via motovedette ed elicotteri potrebbe facilmente compromettere la navigabilità delle imbarcazioni commerciali. Tale situazione comunque è plausibile solo in scenari estremi dove sarebbe messa in pericolo l'esistenza stessa del regime e del paese iraniano. Infatti, un blocco volontario non comporta nessun beneficio netto all'Iran, poiché fortemente dipendente dalle esportazioni internazionali di materie prime energetiche.

 

Potenziali implicazioni economiche per Cina, USA ed Europa

 

Un eventuale blocco, come già precedentemente accennato, comprometterebbe una parte consistente delle materie prime energivore mondiali ( 20-30% di gas e petrolio) comportando shock di offerta e quindi provocando un elevato aumento del prezzo di queste materie prime. Si avrebbero notevoli effetti sia sui mercati finanziari e che, se l’eventuale blocco venisse mantenuto a lungo, direttamente nell'economia reale provocando una forte lievitazione dei prezzi della benzina e del gas.

La Cina risentirebbe abbastanza fortemente dell'stop del greggio dal Medioriente provocando un amento dei costi lato approvvigionamento del petrolio e provocando probabilmente un riassetto logistico delle fonti energetiche.

Per gli Usa i problemi sarebbero molto probabilmente solo momentanei poiché infatti quasi del tutto autosufficienti a livello energetico.

L’Europa sarebbe colpita dall’ennesimo shock energetico compromettendo la debole ripresa che si stava vedendo all'orizzonte.

L’economia mondiale si potrebbe ritrovare nella stessa situazione degli anni ‘70 con la crisi petrolifera dove vigeva un regime di stagflazione (inflazione alta e crescita debole).

 

Implicazioni politiche-militari

 

L'Iran è da diversi anni che minaccia il blocco dello stretto di Hormuz ma di fatto tali minacce non si sono mai del tutto concretizzate. Presumibilmente un reale blocco militare dello stretto porterebbe a un violento atto di forza da parte di una coalizione probamente composta degli USA, dai paesi occidentali (Francia e Gran Bretagna) e dagli stati della penisola arabica, i quali farebbero di tutto per forzare il blocco militare.

 

I mercati finanziari?

 

Con ogni probabilità se tale cigno nero si verificasse si vedrebbe un vorticoso aumento del prezzo delle materie prime energetiche sui principali listini mondiali specialmente il Crude Oil e il Natural Gas. A cascata avverrebbe una riallocazione di tutti gli asset principali, passando da una situazione di risk- on a una di risk-off. Questo vuol dire che si assisterebbe a un crollo del mercato azionario, soprattutto nei paesi più colpiti come quelli europei, fatta eccezione delle aziende che producono o vendono gas e petrolio. Il mercato obbligazionario potrebbe vedere un aumento dei rendimenti poiché il mercato andrebbe a prezzare una situazione stagflazionistica, casistica molto difficile da gestire da parte delle Banche Centrali, le quali dovrebbero equilibrare politiche monetarie restrittive con espansive giocando molto sul diminuire l’inflazione evitando una recessione. Infine, altri strumenti che potrebbero trarne beneficio sono l’oro che mantiene il suo primato di bene rifugio, come il dollaro, il franco svizzero, i bond tedeschi e USA che mantengono la loro fama di Paesi solidi.

Conclusioni

Lo Stretto di Hormuz rimane una delle vie marittime più importanti e vulnerabili al mondo. La sua rilevanza geopolitica ed economica lo trasforma in un possibile terreno di scontro in scenari di tensione internazionale. Sebbene il rischio di un blocco reale sia basso, non può essere escluso del tutto, specie in un contesto di forte escalation militare o di isolamento estremo dell’Iran.

Per questo motivo, la comunità internazionale deve mantenere alta l’attenzione sullo Stretto di Hormuz, promuovendo soluzioni multilaterali che garantiscano la sicurezza delle rotte energetiche e incentivino il dialogo politico. La stabilità di quest’area è fondamentale non soltanto per i paesi del Golfo, ma per l’economia mondiale intera.

 

 

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